Oltre una novantina i presenti in una Sala Congressi del Parco delle Scienze finalmente tornato ad ospitare eventi in presenza, senza contare le decine di presenti collegati online (con iscritti da ben 18 regioni), per l'ultima giornata di lavori di #confinicomuni, aperta con un suggestivo percorso storico sul movimento della montagnaterapia condotto da Sandro Carpineta e Massimo Galiazzo, che si sono avvalsi della metafora dell'albero di bonsai e della foresta per illustrare la crescita e le tante ramificazioni di questa innovativa attività terapeutica. Al loro racconto hanno fatto seguito i due densissimi interventi scientifici di Leonardo Fogassi e Stefano Rozzi sulle neuroscienze della cognizione motoria e di Maria Chiara Buonocore e Marta Bosio sull'esperienza del San Raffaele di Milano nell'utilizzo dell'esercizio fisico in psichiatria. Tantissimi gli spunti emersi e numerose domande tra i relatori e dal pubblico, soprattutto per approfondire le possibili traduzioni degli studi in corso sul contesto naturale e le attività di montagnaterapia. Da tutti i relatori sono uscite conferme della potenziale applicabilità di questi studi nei contesti di cura legati alle disabilità fisiche e mentali e alle dipendenze, con prospettive molto interessanti, naturalmente da supportare con adeguati protocolli di osservazione e traduzione statistica.
Nella seconda parte della mattinata l’intervento di Alessandra Gigli, esperta in formazione esperienziale e outdoor, ha permesso di inquadrare da un punto di vista pedagogico le attività basate sull'apprendimento in natura, fornendo i dati di una mappatura completa delle attività che propongono educazione in natura in Italia ed enfatizzandone soprattutto il carattere di intenzionalità pedagogico-educativa. Trascinante l'intervento del diabetologo friulano Ciro Antonio Francescutto, già conosciuto in precedenti convegni, che in un percorso a volte ironico e sempre molto coinvolgente ha focalizzato l'importanza del “movimento come medicina”, portando esempi e numeri e la fortissima convinzione che l'educazione all'attività motoria sia una delle risorse principali per le persone, le comunità, il sistema sanitario, riuscendo a strappare più di un sorriso e una nuova consapevolezza a tutti i presenti. Da ultimo Ornella Giordana, per conto del presidente Vincenzo Torti ha portato il saluto del CAI centrale, fornendo un'ampia panoramica di quelle che sono le attività che il CAI a livello nazionale ha condotto in questi ultimi anni a favore della montagnaterapia, a partire da un testo di linee guida che cerca di inquadrare il fenomeno e dalle tante iniziative legate all'accessibilità dei sentieri e più in generale al coinvolgimento degli stakeholders, anche della disabilità, per definire un insieme regole nuove che possano favorire l'accessibilità all'ambiente montano anche da parte delle categorie più deboli.
Molto coinvolgenti i protagonisti della sessione pomeridiana, aperta dal geografo sui generis ed esploratore senza bussola Franco Michieli, narratore affascinante della “vocazione di perdersi” coltivata fin dalla giovinezza nelle terre più selvagge del mondo, dove ha sperimentato una riconnessione alla natura con tecniche di “orientamento naturale” per interpretare la geografia più impervia, rinunciandio totalmente ad ogni ausilio tecnologico: una lezione sulla riconquista della autonomia, della fiducia e della stretta connessione tra libertà e responsabilità da cui la montagnaterapia non può disimpegnarsi. Il tema dei “percorsi di giustizia” e dei “cammini di libertà”, e ancora una volta degli effetti curativi dell’immersione nella natura, come strumenti alternativi al carcere (e rieducativi, stavolta in senso anche sociale) per i giovani “messi alla prova”, ha caratterizzato gli interventi di Isabella Zuliani, Roberta Cortella (co-autrice del docu-reality “Boez – Andiamo via, trasmesso da Rai 3 nel 2019), e Cristina Scoizzato, oltre a Sauro Quadrelli del Cai di Massa, che ha riportato l’esperienza con i detenuti per il riassetto della sentieristica, un progetto poco convenzionale di coinvolgimento dei carcerati e delle comunità locali, figlio di un approccio che in diverse occasioni si è dimostrato vitale ma che con il covid si è purtroppo interrotto e che si auspica di poter riattivare quanto prima.
Pietro Pellegrini, direttore del Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche dell’AUSL Parma si è fatto carico delle conclusioni, ritendendo rispettati i due obiettivi iniziali del convegno: il primo, avvalorare la “scientificità” dell'approccio che vede la montagnaterapia come ricerca degli effetti curativi del movimento e del rapporto tra persona e ambiente naturale, valutandone la fruibilità oltre che la fattibilità; il secondo, restituirne la valenza “culturale” alla comunità non solo scientifica affinché questo innovativo approccio terapeutico possa godere di sempre maggiori risorse ed essere appannaggio di sempre più persone.